Seguo alcuni clienti da decenni e ho visto la loro evoluzione. Penso a una PMI manifatturiera dell’hinterland torinese che fino agli anni ’90 produceva tutto in casa. Aveva perfino una attrezzeria per produrre stampi e utensili. Era la classica fabbrica italiana: un monolite che realizzava al suo interno tutto ciò che era possibile: ogni singolo componente Gradatamente questa azienda – per far fronte alla concorrenza internazionale – ha ‘dato fuori’ le lavorazioni. Prima ha acquistato sul mercato i pezzi più standardizzati, poi ha affidato a terzisti specializzati la produzione su misura dei componenti specifici. Oggi il suo capannone è quasi vuoto ma il piazzale davanti è pieno di camion. Il fatturato è cresciuto e l’azienda, concentrando le risorse sulla progettazione, sull’assemblaggio, la customizzazione e il servizio al cliente è riuscita a sopravvivere e a mantenere i margini.

È la storia di molte industrie, forse di tutta la parte più performante della nostra manifattura: quella che ha saputo concentrarsi sul valore aggiunto, ‘smaterializzando’ la propria attività. In un certo senso questa azienda manifatturiera può essere descritta come un flusso di informazioni: progetti che diventano oggetti; flussi di dati in entrata e in uscita.

Digital transformation è smaterializzare e nell’industria si chiama outsourcing

Trasformare gli atomi in bit

Smaterializzare significa aver interpretato correttamente la transizione digitale. I due concetti sono molto più simili di quello che sembra. La transizione digitale prevede proprio la smaterializzazione di tutto: dai documenti e archivi cartacei ai server e dei data center aziendali.

Smaterializzare non significa semplicemente ‘buttare via la carta’ o ‘liberarsi dalla ferraglia dei data center’. Si tratta di trasformare tutti gli atomi in bit, creare una versione digitale di tutto ciò che c’è in azienda, anzi dell’azienda stessa. Un documento cartaceo può trovarsi solo in un punto nello spazio e nel tempo. La sua stessa esistenza crea dei colli di bottiglia, dei privilegi per alcuni, degli ostacoli per gli altri. La sua versione digitale invece può essere resa disponibile a tutti (o a certuni secondo una regola) può essere indicizzata, reperita, copiata, rielaborata, sempre lasciando traccia degli accessi e delle modifiche.

In fabbrica la transizione digitale è già iniziata

La gigantesca riconversione avvenuta negli scorso decenni nell’industria italiana è una vera transizione digitale. Non c’è poi una differenza così grande fra le prospettive aperte da un uso intelligente del cloud computing e quello che migliaia di manifatture italiane hanno già fatto.

In una manifattura ogni macchina deve ricevere o perlomeno produrre dati: se non lo fa è una variabile impazzita, qualcosa da controllare a vista come un bambino un po’ discolo, sperando che chi la tiene sotto controllo abbia e registri informazioni giuste.

Se la macchina produce dati su quello che fa allora diventa un semplice riquadro in un flow chart aziendale dove ogni elemento ha un suo ingresso di dati e una sua uscita e quindi fa parte di un processo. A quel punto è possibile avere una visione di insieme del processo produttivo, fare delle simulazioni e prendere decisioni informate e veloci il che è poi il senso dell’informatica stessa.

Ovviamente non è così semplice. Tenere ‘sott’occhio’ una organizzazione smaterializzata ed estesa ben oltre le quattro mura dell’ufficio e della fabbrica, non è affatto facile. Occorrono strumentazioni software adeguate che garantiscano la massima visibilità e soprattutto una diversa cultura aziendale.

Riccardo Montanaro, CEO e.tere@ srl